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Studenti@PoliTO

Gli studenti del Politecnico studiano l’“impronta ecologica” del volontariato

7 Febbraio 2019

Quanta CO2 si può risparmiare donando cibo ai meno fortunati? E quanto incide la reintroduzione sul mercato di beni usati? Sono due esempi di come un’iniziativa di volontariato possa avere, oltre alle non misurabili ricadute positive sulla vita delle persone coinvolte, anche degli effetti sull’ambiente. In particolare, gli studenti del percorso Talenti del Politecnico di Torino (un numero ristretto di ragazzi dei primi anni di tutti i corsi di studio che -avendo ottenuto un punteggio superiore al 70% al test di ammissione - hanno la possibilità di accedere ad un percorso di studi integrato da specifici approfondimenti ed iniziative ad hoc) si sono misurati con la cosiddetta “impronta ecologica” di alcuni Enti di volontariato tra quelli proposti da “Servire con Lode”, il progetto che promuove il volontariato universitario che coinvolge gli atenei cittadini, la Diocesi e il Centro Servizi per il volontariato.

Nel corso di “Ecological footprint” tenuto nel primo semestre dell’a.a. 2018/2019 sono infatti stati presi in esame alcuni enti ed esperienze di terzo settore giudicati interessanti rispetto alla sperimentazione e al coinvolgimento dei giovani. I futuri architetti, ingegneri, urbanisti, designers hanno imparato come si misura l’impatto ambientale di azioni anche banali come mangiare, bere, viaggiare, accendere la luce o una lavatrice. Dietro a ogni oggetto, materiale o prodotto c’è infatti una storia spesso lunga e complessa e anche dopo il suo uso ogni cosa può ancora causare danni o vantaggi all’ambiente e agli individui; tutto ciò si può quantificare usando come unità di misura la superficie di terreno necessaria per produrre (cibo, acqua) o smaltire (rifiuti, anidride carbonica) ciò che serve e ciò che viene scartato.

Con questa nuova consapevolezza, gli studenti hanno ascoltato i referenti ed i volontari descrivere i loro progetti per poi analizzare e misurare gli effetti tangibili positivi quali la riduzione dell’impatto ambientale e il risparmio economico di iniziative quali ad esempio la raccolta e distribuzione a famiglie meno abbienti di frutta e verdura invendute nei mercati, la creazione di una rete di laboratori che permettono a giovani e adulti con fragilità di esprimersi attraverso l’arte e l’artigianato utilizzando materiali di recupero o il sostegno a madri in difficoltà anche con la razionalizzazione delle abitudini di consumo.

“Dopo aver imparato come valutare l’impatto e la storia dei beni che usiamo nelle nostre azioni quotidiane, gli studenti hanno cominciato a capire qualcosa di più, per ciascuno di essi: come sceglierli in base all’origine, come ridurre l’impatto ambientale senza ridurre le nostre necessità, ma anche come ridurne la necessità; come far sì che i beni che usiamo tornino nel circolo delle attività umane o addirittura tornino, come nuovi, fra i beni disponibili in natura per chi verrà dopo di noi – ha commentato il professor Gian Vincenzo Fracastoro, referente del corso di “Ecological footprint” - Quando di un bene conosciamo la storia, stiamo più attenti a usarlo e ce ne liberiamo meno distrattamente”.

“Questa sperimentazione, fatta insieme a Young Caritas ed il Politecnico, ci mostra come educare le nuove generazioni anche attraverso la fragilità e chi se ne occupa, è una carta vincente per tutti: migliorano le capacità degli enti di rispondere ai bisogni, il coinvolgimento delle persone e la professionalità dei futuri laureati che possono acquisire, oltre alle competenze attese, anche uno sguardo di ecologia umana più sensibile al bene comune e ai legami”, ha aggiunto don Luca Peyron direttore della Pastorale universitaria torinese.