Si è conclusa pochi giorni fa la conferenza di Berlino su Open Access dal titolo Aligning strategies to enable Open Access. Si tratta del 14° appuntamento annuale organizzato dalla Max Planck Society a partire dal 2003, anno in cui fu lanciata la Berlin Declaration, uno dei manifesti fondanti dell’Open Access sottoscritto anche dal Politecnico di Torino e da numerose università italiane.
Circa 170 partecipanti da 37 nazioni di tutti i continenti, inclusa la Cina che è il più importante paese al mondo per numero di pubblicazioni scientifiche, hanno chiesto agli editori presenti a Berlino (Elsevier, Springer e Wiley) una transizione rapida e universale all’accesso aperto immediato delle pubblicazioni.
Una condivisione su scala globale, come forse mai prima era accaduto, di pochi punti centrali: gli autori devono mantenere i loro diritti di copyright, l’accesso aperto deve essere completo e immediato, il processo deve subire un’accelerazione attraverso la stipula di contratti trasformativi, di natura transitoria e senza costi aggiuntivi, per passare dal modello degli abbonamenti al modello open access.
Di fatto una totale adesione al planS lanciato a settembre da un gruppo di enti finanziatori europei per esercitare pressione sugli editori e ottenere la piena attuazione dell’accesso aperto alle pubblicazioni entro il 2020. “La ratio dei contratti trasformativi incentivati da PlanS sta nella non sostenibilità economica da parte delle istituzioni del cosiddetto open access ibrido che porta ad un duplice pagamento per lo stesso “prodotto”: paghiamo in qualità di lettori e in qualità di autori“ - è il commento della Referente di Ateneo per la Scienza Aperta Federica Cappelluti - “Come ben argomentato da Paola Galimberti (Università di Milano) su ROARS, è fondamentale che anche le Università italiane si allineino alle strategie di planS e diano un mandato forte in questo senso ai consorzi trans-universitari deputati alla contrattazione con gli editori.”
Nel frattempo, il 23 novembre nella suggestiva cornice della storica biblioteca dell’Università di Vienna, è nato EOSC - lo European Open Science Cloud - con il lancio ufficiale del portale e l’adozione della Dichiarazione di Vienna nella quale si afferma la centralità della cura, della conservazione e della condivisione dei dati scientifici per promuovere una scienza di qualità, collaborativa, efficiente e di reale impatto sulla società.
EOSC fornirà un unico punto di accesso ai risultati della ricerca europea, uno spazio virtuale sicuro e aperto per archiviare, condividere e riutilizzare dati, una piazza virtuale in cui si incontreranno ricercatori, produttori di dati, fornitori di servizi e innovatori.
Il lancio ufficiale di EOSC arriva a valle di un percorso avviato dalla Commissione Europea nel 2016 che ha condotto in breve tempo all’identificazione dei principi cardine di EOSC nella EOSC Declaration e alla definizione di una Roadmap per la sua implementazione. L’investimento totale del progetto sfiora i 7 miliardi di euro, con uno stanziamento di circa 600 milioni di euro destinati a sviluppare i processi chiave per raggiungere un’operatività iniziale del cloud già nel 2020.
Le prime call INFRA-EOSC sono attive già nell’ambito del programma quadro H2020. Il comitato esecutivo del progetto vede la partecipazione di esperti provenienti da infrastrutture di ricerca europee e da organizzazioni pubbliche di ricerca e finanziamento e sarà presieduto da Karel Luyben, ex rettore della Delft University of Technology, coordinatore del piano nazionale olandese per l’Open Access e vice presidente per la ricerca di CESAER, un'associazione di 51 università tecniche di cui fa parte anche il Politecnico di Torino.
Con EOSC e con il prossimo programma quadro Horizon Europe, la Commissione Europea imprimerà una forte spinta alla promozione di una scienza fondata su una cultura di cura rigorosa dei dati.
A monte c’è un cambio di paradigma culturale: i dati prodotti nel corso di una ricerca scientifica sono essi stessi un risultato scientifico, il cui valore risiede non soltanto nell’essere di supporto a una determinata teoria ma nella loro potenziale utilità ad altre ricerche, anche in ambiti scientifici diversi. Perché i dati possano essere letti e usati in contesti diversi devono essere FAIR (Findable, Accessible, Interoperable, Reusable). Per inciso, per gestirli saranno necessarie nuove figure professionali, i data stewards, per i quali la Commissione Europea quantifica un fabbisogno di circa 500 mila unità. È stato stimato ('Realising the European Open Science Cloud’) che il costo dell’indisponibilità di dati FAIR si aggira sui 10 miliardi di euro: mentre sull’apertura dei dati l’atteggiamento della Commissione Europea è flessibile, “as open as possible, as closed as necessary”, la gestione di dati FAIR diventerà un requisito obbligatorio in tutti i progetti finanziati europei a partire dal 2021, consolidando le pratiche già messe in atto con l’Open Research Data Pilot di H2020.
Per un resoconto dettagliato e ragionato della Conferenza di Berlino: 10.5281/zenodo.2201316